L'allattamento: la scoperta esperienziale della separatezza | Società Italiana di Psicologia Perinatale

L'allattamento: la scoperta esperienziale della separatezza

L'esperienza dell'allattamento non è importante soltanto come modalità più naturale e più adeguata per il nutrimento del bambino: quello nutritivo è soltanto un aspetto, non quello primario. Fin dal primo momento in cui si attacca al seno, ciò che tranquillizza il neonato è il ritrovamento della sua nutrice, il recupero della fusionalità persa con il taglio del cordone ombelicale. E' una sensazione e un'emozione che lo placa e rassicura.
Inizialmente il neonato viene portato al seno ogni volta che lo richiede, sfruttando la sua congenita abilità a succhiare per stimolare la montata lattea. Viene così privilegiata la fusionalità rinnovata al seno. Ma è altrettanto importante, quando l'allattamento è avviato, incominciare a rispettare il cadenzamento naturale dei pasti – 7 o 8 nel mammifero umano – senza alcuna rigidità ma offrendo al bambino l'esperienza dell'attesa (tempo e spazio) e dell'incontro che, ripetuta quotidianamente per tre mesi, crea nel neonato la percezione della separatezza dalla madre eppure della sicurezza della sua presenza. Più tardi, intorno al terzo mese, divenuto consapevole di essere lui a agire sulla mammella per fare uscire il latte, il bambino comincerà a giocarci, fiero di sé, alternando momenti in cui succhia e si riposa, per poi alzare lo sguardo - che ha sintonicamente maturato il suo fuoco a trenta centimetri per poter inquadrare il viso materno - e richiamare il sorriso partecipe della mamma cui rispondere sorridendo e abbandonando per un attimo il capezzolo per rimanere sospeso a quello scambio di sguardi che può sostituire ormai l'esigenza continua del contatto.
Tutti i sensi infatti collaborano all' “interiorizzazione” della figura materna accudente, che si sedimenta e fa compagnia anche quando la mamma non c'è e permette di sentirsi sicuri perchè contenuti nella sua vigile preoccupazione (care). Questo permette la nascita degli “oggetti transizionali” (Winnicott) che verranno consapevolmente usati dal bambino come compagnia sostitutiva in quanto evocativa della morbida presenza dell'oggetto materno amato. Pur non esistendo un'epoca ideale per lo svezzamento, tuttavia la madre deve permettere al bambino la costruzione nel tempo di un mondo simbolico che la rappresenti nella memoria e nella fantasia e che funga da “oggetto interno” affidabile e sicuro. L'allattamento protratto molto a lungo, sordo alla graduale autonomia lentamente conquistata dal piccolo e incapace di sostituire all'intensità della poppa altre nuove modalità altrettanto intense di comunicazione e contatto, appare rispondere più a un'esigenza materna che non all'effettiva necessità del bambino di mantenere immutato il primo canale di comunicazione con la mamma: rapporti intensi e sani si trasformano e si adattano alle età della vita senza nulla perdere della loro poesia.
Anche se la memoria intellettiva non è operativa nei primi due anni di vita a causa dell'immaturità del cervello ancora in formazione, tuttavia la modalità della nascita e gli atteggiamenti emotivi di cura costituiscono un'esperienza fondamentale che viene interiorizzata: sono il primo sapore del mondo, base da cui partire fiduciosi per costruire in seguito il lungo cammino verso l'autonomia.
La presenza e la dedizione dei genitori all'inizio della vita, la loro capacità di comprendere e rispondere alle esigenze del bambino, funzionano come elementi fondamentali per costruire nel piccolo la sua fiducia nella vita. La recente scoperta dei “neuroni specchio” non fa che confermare a livello del funzionamento del nostro cervello la presenza di una sintonia, la necessità di una dedizione, di uno scambio stretto che permette alla mamma e al bambino di intuire, imitare e condividere lo stato emotivo dell'altro. Alla luce di tutto questo la gravidanza, la nascita e i primi tre anni di vita dovrebbero essere blindati emotivamente ai fini della salute mentale e della prevenzione: una società consapevole dovrebbe investire in questa epoca della vita tutte le sue risorse umane e economiche.

Nel lungo trascorrere dell'infanzia la presenza dei genitori con i loro ruoli complementari e differenziati che garantiscono una sicurezza e un rifugio dove poter sempre approdare e che insieme scortano e stimolano l'esperienza della vita, è la base per una crescita serena: l'acquisizione della sicurezza e dell'identità con il suo mondo di valori è nel mammifero umano un processo molto lento ulteriormente complicato dalla complessità della cultura e della società nella quale viviamo. Le due figure genitoriali sono ugualmente importanti nel loro ruolo educativo: l'impegno di entrambi, sottratto a esigenti tempi e compiti lavorativi, è cruciale per il benessere dei figli. E se la presenza materna, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, deve essere rispettata nel suo ruolo di riferimento affettivo sicuro in cui si incardina la fiducia e la capacità di individuarsi e crescere, anche la figura paterna, da troppo tempo ignara del suo importantissimo ruolo di facilitatore nell'esplorazione della realtà sia come guida che come incarnazione del limite che governa e protegge, deve poter scoprire il piacere del tempo dedicato a una sana cura del figlio.
Come nel parto, in tutto il lungo periodo di dipendenza dai genitori, il moto che scorta il figlio è un moto a stantuffo che procede per successive esplorazioni e ritorni, sorretto dal ruolo complice e complementare delle due figure genitoriali. Il femminile e il maschile sono dunque due disposizioni affettive biologicamente fondate per la sopravvivenza della specie umana: disattenderle significa metterla seriamente a rischio.

Per un bambino vivere con sicurezza e fiducia la propria dipendenza, uscirne gradualmente scortato da genitori che sostengono la sua capacità esplorativa e creativa e insieme il suo bisogno di sicurezza e condivisione, vuol dire arrivare serenamente al passaggio adolescenziale che lo attende. E di un altro parto si tratterà: anche qui l'evento è fisico, ormonale e emotivo ad un tempo. Se al parto veniva abbandonata la simbiosi per la scoperta della famiglia naturale, qui attraverso l'attuarsi dell'identificazione di genere si realizza lentamente e gradualmente il superamento della dipendenza infantile per la scoperta del mondo della scelta e dello scambio, sede dei rapporti che contano nella vita e degli affetti che la accompagnano. Il passaggio adolescenziale infatti scorta l'individuo alla conquista della modalità relazionale adulta, non più basata sulla dipendenza e sul bisogno, ma ispirata dalla reciprocità dello scambio e fondata sul desiderio. L'identificazione di genere infatti cui approda biologicamente l'adolescente, lo espone improvvisamente a relazioni in cui la ricerca e l'incontro con l'altro è sorretta dalle affinità da un lato e dal desiderio di complicità e condivisione dall'altro: la lunga palestra adolescenziale, con l'emergere dell'identificazione di genere che propone il senso del proprio limite, “o maschio o femmina” con le intense emozioni che accompagnano l'incontro con gli altri e con la vita – non più protetti -, prepara e rafforza il senso dell'identità, della scelta sia professionale che affettiva: ciò prelude alla costruzione di una nuova “ base sicura “ fatta di realizzazione di sé e di scambio sia sul piano dell'esercizio dei propri talenti che della costruzione di solidi legami affettivi, terreno per la piena espressione del proprio sé, della propria creatività destinata a lasciare una traccia e un contributo nell'immenso mistero del divenire della realtà. È a questa età adulta, a questa capacità di scambio reciproco e solidale, che la natura affida infatti la potenzialità riproduttiva. Ma perchè l'arco si compia ci vuole un buon inizio, per approdare alla maturità della vita adulta bisogna aver assaporato una sana vita infantile. “Non possiamo vivere la consistenza e l'intimità di un amore duraturo se in vita nostra non abbiamo mai avuto questa esperienza con nessuno” (Brazelton 2001).