Chi Siamo

Testo di Giuliana Mieli

Tempo di Lettura: 20’

Vorrei spiegarvi perché a me e ad altri è venuto in mente di pensare ad una società italiana di psicologia perinatale che si aggiunge alle molteplici società di psicologia perinatale già esistenti.
Che cosa c’è di diverso e perché una nuova società?
Quello che c'è di diverso è il desiderio che questa società di psicologia perinatale non sia solo un luogo unico per psicologi, ma che raccolga intorno a sé altri, che appartengono ad altre competenze professionali, che siano interessati a convergere su quello che io ritengo un punto fondamentale di cambiamento per comprendere il mondo in cui noi viviamo e per poterlo migliorare.

La perinatalità è diventata importantissima nella mia vita quando mi sono ritrovata a lavorarci quando ho avuto i miei figli. Provenivo da un percorso psichiatrico e lavoravo sul territorio nei centri di salute mentale che in qualche maniera anticipavano la riforma Basagliana, la quale finalmente eliminava quella vergogna dell'isolamento dei pazienti psichiatrici negli ospedali psichiatrici tradizionali, e fu lì che mi accorsi di come tutto il campo della perinatalità non era stato toccato assolutamente dalle nuove conoscenze della perinatalità che nel frattempo si erano sviluppate.

Quando mi riferisco a questo mi riferisco a un grandissimo, secondo me, della storia della psicologia che io metto nella mia mente in fila dopo Einstein e Heisenberg perché, come loro hanno fatto una rivoluzione nella fisica tradizionale, John Bowlby ha fatto lo stesso tipo di rivoluzione nell'ambito della psicologia. Io ho fatto psicologia nella mia vita provenendo da filosofia e l'ho fatto perché mi rendevo conto che la filosofia non aveva capito un aspetto che io sentivo molto vivo dentro di me e che mi sembrava che non fosse rappresentato. Cioè, tutta questa grande accentuazione dell'importanza della razionalità dell'essere umano come elemento distintivo del mondo animale, che sicuramente è in parte vera, mi sembrava che lasciasse scoperto completamente un campo che è il campo della vita emozionale, dei sentimenti, e sapevo perché questa cosa era avvenuta. Era avvenuta perché nella storia della filosofia dell'Occidente il trionfo della scienza, e non sono io che lo dico, ma i grandi filosofi storici della fisiologia della scienza, aveva portato a creare due verità: la verità dello scienziato che si occupava della materia e quindi delle sue leggi estrapolate della matematica e della geometria, e dall'altra parte rimaneva tutto ciò che non apparteneva al materiale ma finiva nell'ambito del pensiero filosofico religioso. Quindi, questa separazione corpo-mente è stata una caratteristica fondamentale dell'Occidente che va, secondo me, rimediata, non per andare contro all'importanza della razionalità, ma per equilibrarla, per creare un equilibrio tra quello che è la mente e quello che è il mondo del sentimento.

In questo perché è così importante Bowlby?
Perché nel periodo del ‘900, che noi abbiamo dimenticato essere stato un secolo terribile di moltissime guerre (52 milioni di morti, gente mandata in trincea a 15 anni nella prima e nella seconda guerra mondiale) - e dove tutto quello che è accaduto nel mondo nazista è avvenuto in termini di una scienza asservita alla follia del pensiero politico (ad es. la bomba di Hiroshima) - sono cose che siccome sono nata nel ’43, ho sentito sulla mia pelle nel racconto delle persone più grandi di me che mi raccontavano quello che era successo, e quindi, in quegli anni lì, che poi sfociarono negli anni 70, c'era una consapevolezza che era assolutamente inevitabile e necessario cambiare. Il sistema andava cambiato, perché qualcosa di tremendo era venuto fuori proprio al culmine dello sviluppo del mondo della filosofia Occidentale.

Quindi, si poneva il problema di cambiare. Bene, in quella situazione, nella Londra bombardata dai nazisti, dove c’erano parecchi bambini orfani che venivano ricoverati negli orfanotrofi, ci si accorse che nutrirli e scaldarli non era sufficiente perché potessero sopravvivere alle epidemie che li falcidiavano e quello che fu necessario e capitò così, casualmente, fu l’affezionamento, cioè il trasporto affettivo con cui le nurse di questi orfanotrofi avvolsero i bambini in un campo affettivo significativo. Lì ci si accorse che, improvvisamente, il sistema immunitario di queste creature cominciava a funzionare.
Quindi, si è scoperto che la condizione necessaria e sufficiente perché un essere umano possa sopravvivere è di essere incluso in un campo affettivo significativo, coerente e ripetuto che dia quella spinta per poter stare al mondo. Dopo, certo, c'è anche la cura fisica, c'è anche il riscaldamento, ma quello scaturisce dall'atteggiamento di cura.
Bowlby, e non fu solo lui, ma in quel periodo anche Winnicot, fu forse il rappresentante più significativo di questa corrente della teoria dell'attaccamento, e sostiene che sarebbe stato il colmo della follia se la natura, in un'operazione così utile alla sopravvivenza della specie, non avesse messo qualcosa di profondamente fondato nella biologia, nella nostra corporeità. L'atteggiamento di cura che fa parte del materno nella dialettica con l'atteggiamento di cura che fa parte del paterno - sorretto dagli ormoni maschili nel bilanciamento femminile maschile - non è soltanto l'origine della vita uomo-spermatozoo (quella è la parte fisica), ma è un incrocio di due modalità diverse di guardare il mondo, di comprenderlo. Il sentimento è più rappresentato dalla preoccupazione femminile, dal cervello destro della donna e, con la parte razionale, sono in una dialettica in equilibrio che permette la piena maturazione dell'individuo.

Questa cosa mi affascina perché secondo me, noi abbiamo oggi il movimento femminista, la richiesta di essere riconosciute uguali agli uomini, con gli stessi diritti e mi sembra molto un correre dietro alla realizzazione di un successo maschile, spesso nevrotico, per essere come loro. A me non interessa, a me interessa capire che nella storia del pensiero filosofico dell'Occidente non è mai stata data un'importanza di valore a quello che è l'apporto intuitivo del femminile che è un apporto fondamentale per la sopravvivenza della specie perché è quello che permette al bambino piccolo di poter sopravvivere e di poter crescere. L'Occidente parla di questo, di quell'altro e poi dice “l'Uomo”.
L'uomo è un’astrazione, c'è il genere maschile e il genere femminile. Sono due occhi diversi sul mondo, sono due sguardi diversi sul mondo che vanno integrati. E soprattutto, c'è il bambino, il quale nasce piccolo, indifeso. Oggi noi sappiamo, dopo la teoria dell'attaccamento, che i primi 1000 giorni, che occupano tre anni della vita del bambino, sono significativi per comprendere se quella creatura avrà un destino felice sia da un punto di vista fisico che emotivo, quindi non possiamo chiudere gli occhi su questo. Allora non mi interessa di rimanere all'interno di una cultura della psicologia ghettizzata che spiega e rispiega questi meccanismi di attaccamento. Certo, va benissimo che li approfondiamo, che scopriamo con la psiconeurooncologia, con l’epigenetica quali sono i meccanismi che sorreggono questi atteggiamenti affettivi, però quello che conta è che questi atteggiamenti affettivi siano un valore e vengano rispettati, perché la diade madre bambino non sia isolata, ma sia all'interno di una società in cui la donna deve potere dedicarsi al bambino.

Allora il primo punto è innanzitutto che le maternità devono essere ispirate alla teoria dell'attaccamento e devono conoscere la teoria dell'attaccamento e devono agire nel rispetto della naturalità della gravidanza e del parto il più possibile mettendo in condizione madre bambino di poter comunicare nella modalità adeguata. Quindi bisogna intervenire nelle maternità. Bisogna intervenire nel mondo del lavoro e far capire che non è possibile fantasticare che si possano separare precocemente le mamme dai bambini se i primi 1000 giorni sono fondamentali per quella separazione lenta e graduale del bambino. Quindi bisogna intervenire in quel campo lì. Bisogna intervenire su tutte le figure che accompagnano la crescita dei nostri figli dagli 0 ai 24 anni, che è l'epoca che secondo l’OMS è il percorso che uno deve fare per diventare adulto. Allora si incontrano in ospedale le ostetriche, i medici, le insegnanti della scuola materna, le insegnanti delle elementari, quelle delle medie, delle superiori e anche del triennio universitario, in cui inevitabilmente i ragazzi devono potere rapportarsi in una logica parentale, genitoriale con quelli che sono i rappresentanti del mondo della cultura e del mondo adulto che loro frequentano e che possano essere indicazioni di guida e che li possano avviare verso la conoscenza e la comprensione del mondo in cui entreranno. Quindi non si può fare una scuola soltanto efficiente nell'insegnare i concetti, ma deve essere una scuola che educa anche alla vita sociale in questa comunità protetta che per i ragazzi significa entrare nel mondo attraverso l'esperienza scolastica.

Quindi questa cosa è fondamentale anche nel movimento ecologico. Io faccio fatica a farlo comprendere a tutte le persone che si occupano di ecologia. Quando diciamo che il mondo Occidentale con i suoi sistemi, con la sua logica del profitto, dello sfruttamento dell'ambiente, sta mettendo in discussione la sopravvivenza del pianeta - e certo che è vero, certo che va bene l'aria pulita, che bisogna abbassare il CO2, che non ci devono essere le isole di plastica nell'oceano - ma non vanno dimenticate le relazioni fra gli uomini, cosa pensiamo che è siano un optional? Non pensiamo che anche le relazioni tra gli esseri umani sono governati da una logica che deve essere rispettata che è una logica naturale e che soltanto il rispetto di quella logica naturale rappresenta la possibilità della sopravvivenza della specie? Ecco io voglio incontrare altri antropologi, biologi, anche economisti, non mi spaventano, voglio che tutti convergano nel comprendere che ci sono delle indicazioni specifiche che ci vengono dalla nostra natura umana che vanno nella direzione e nella possibilità della sopravvivenza. E voglio anche ricordare che gli studi odierni della biologia che si occupano di evoluzione sottolineano come la sopravvivenza della specie è avvenuta attraverso la modificazione del corpo della donna, attraverso, non soltanto la sua capacità produttiva, ma attraverso la sua capacità di cura che garantisce la sopravvivenza del più adatto, che non è il più forte di muscolo, ma è più forte spiritualmente ed emotivamente ed è quello che sa affrontare le difficoltà della realtà per sopravvivere. Questo deve essere quello che anima l'associazione di psicologia perinatale, un incontro di teste per cambiare il mondo.

Per la società italiana di psicologia perinatale io ho scritto un documento programmatico e comincia in modo molto perentorio che potrà stupire. Io dico che la perinatalità non è una semplice branca della psicologia, ma il fondamento stesso di tutta la psicologia clinica. Mi assumo la responsabilità di questa affermazione, nel senso che vivo come fondamentale la rivoluzione operata da Bowlby nella storia del pensiero psicoanalitico, cioè la teoria dell'attaccamento che pone alla base della sicurezza del bambino la relazione che si instaura fin dall'inizio, fin dal concepimento con il corpo e la figura materna. Quindi c'è una visione della crescita del bambino non più su base pulsionale, ma su base della sua relazione, che inizia simbiotica, e sull'importanza del distacco lento e graduale, un percorso molto lungo che l’OMS ha stabilito nei 24 anni, fondamentali per raggiungere una sicurezza esterna dall'orbita materna e grazie ai quali l’individuo è capace di confrontarsi con le difficoltà della vita. Quindi la storia dell'individuo che cresce emotivamente è un passaggio dalla fusionalità alla individuazione, e in questo passaggio, come ho già detto, la figura femminile diventa una figura cardine e va così in qualche maniera a riempire il vuoto di attenzione verso il femminile che ha caratterizzato tutta la nostra cultura. Naturalmente la cosa che mi colpisce e il motivo per cui ho aderito a questo progetto, è che di questa rivoluzione non si parla, nessuno ne sa nulla, è come se non ci fosse preoccupazione di insegnare alle persone comuni come poter garantire ai bambini che crescono quell'atteggiamento affettivo - che è fisiologico - che la natura ha espresso nella fisiologia della nascita della gravidanza e del puerperio e che ci indica quali sono gli atteggiamenti che devono essere utilizzati nei confronti del bambino per curarlo e per permettergli di crescere in una maniera che gli permetta di separarsi in sicurezza e con gradualità. Mi sembra fondamentale che questo sapere non resti chiuso in piccoli luoghi, piccoli ghetti di sapere, ma diventi un'esperienza comune che vada a sostenere le persone che diventano genitori e che permetta anche ai bambini che crescono di essere partecipi di una consapevolezza di quello che è necessario per la loro crescita.

Innanzitutto, ci tengo moltissimo, che gli psicologi stessi pongano la perinatalità al centro della cura clinica e quindi, con la perinatalità, la dialettica femminile-maschile che presiede non solo alla nascita fisica del bambino, ma la sua crescita psicologica.

Ci sono dei parti che ormai vengono chiamati disturbo post traumatico da stress, ci sono delle disattenzioni verso i bambini che diventano traumatiche. Abbiamo dentro la nostra storia affettiva che è sempre recuperabile ed è in grado di risuonare con le storie affettive degli altri.

Quindi noi sappiamo che la sana genitorialità e quindi una dialettica adeguata fra un atteggiamento femminile che non giudica, che è capace di porsi nei panni dell'altro, che è capace di rispettare e fare suo quello che l'altro sente è una cosa tipica della sensibilità femminile accompagnata dalla capacità di mettersi a fianco e di guidare senza prevaricare, senza imporre, ma offrendo delle possibilità che vadano a stimolare le capacità innate di cui tutti noi siamo dotati. Ogni nostro paziente non va mai valutato in base all'età anagrafica o al titolo di studio, o alla professione che fa, va valutato in base alla sua età affettiva che può essere molto diversa, e molto più precoce rispetto a quello che appare. Quindi l'unico mezzo per curare, nella mia esperienza, è la capacità di andare a recuperare il paziente senza però rimanere in una posizione di attesa e aspettando che il paziente porti fuori necessariamente il trauma, perché il trauma che il paziente ha subito ce l'ha nel suo presente e lo continua a riattivare nelle scelte di vita. Le scelte che fa non sono più delle scelte veramente libere perché sono uno schema delle cure genitoriali inadeguate interiorizzato che si ripete nel corso della sua vita.

Quindi importantissimo che la cura del paziente venga fatta attraverso il ripristino di una genitorialità. Io dico sempre che se noi proponiamo ai pazienti una genitorialità sana, il paziente si orienta come il magnete verso il Nord, cioè immediatamente c'è una riorganizzazione del campo affettivo che porta il paziente a sapere cavalcare la vita, a saper confrontarsi con la vita e a riscattarsi da quel luogo in cui ripete eternamente quello che ha interiorizzato e che gli ha dato sicurezza, ma che deve essere cambiato. Non può bastare andare a recuperare il trauma, perché se quella persona ha internalizzato soltanto dei modelli che sono quelli che hanno procurato il trauma, non ne può uscire se non incontra qualcuno che gli permette di coniugare quella sua affettività in una maniera diversa e alternativa che non lo riporti sempre nella ripetizione eterna di quel primo input che ha ricevuto.

Se andiamo a parlare in particolare della maternità allora il campo si amplia moltissimo, forse perché ho fatto una grande esperienza in maternità per tanti anni e ho visto una serie di cose che mi hanno colpito a cui dobbiamo assolutamente cercare di porre rimedio. Ora innanzitutto la prima cosa che mi ha colpito per me che venivo dalla psicologia, entrando in maternità e non sapendo come avrei usato il mio sapere psicologico in quel reparto, fu incontrarmi con persone che avevano a che fare con la gravidanza, con la nascita, quindi ostetriche, medici, infermieri, che non avevano nessuna vera formazione psicologica e che, se facevano un po' di psicologia, imparavano la storia della psicologia e non imparavano a usare quelle che sono le loro capacità affettive nella cura della relazione con il paziente. Quindi la prima cosa da fare è formare il personale, e se noi consideriamo il paradigma della nascita e il paradigma della cura genitoriale sotto gli occhi delle ostetriche, dei medici che lavorano in maternità nell'assistere a quello che succede, possiamo far vedere loro e interpretare la relazione madre bambino come un paradigma della cura che va ripetuta ogni volta in cui si ha un contatto con qualcuno che ha bisogno di essere aiutato e che ha bisogno di potersi fidare di noi per poter uscire dal suo problema. E questo elemento di fiducia deve diventare un elemento cardine della cura. Sappiamo che più le persone hanno fiducia nel curante più i messaggi sono coerenti e più questo aspetto emotivo permette successo della cura. Primo punto questo.

Secondo punto. Ai genitori si parla del parto in epidurale, come se il parto naturale fosse soltanto una cosa da cui scappare, non viene data un'informazione sul significato del dolore del parto che è un significato importantissimo per capire il perché la natura ha pensato di metterlo lì, non è un castigo, è un elemento fondamentale di crescita della donna, della sua capacità, di poter diventare madre. Io non sono contro la medicina e avevo un grandissimo primario il Prof. Mangioni, che mi fa piacere di rievocare, e lui diceva sempre che la medicina deve essere serva della natura e si arrabbiava se i suoi allievi osavano interferire col processo naturale della nascita quando non era necessario. Diceva “noi siamo servi, interveniamo soltanto quando la natura si inceppa per qualche motivo”. Quindi è importantissimo utilizzare gli stessi eventi fisici e estrapolare da quegli eventi il significato affettivo, e farlo comprendere al personale perché lo possa cavalcare e utilizzare per comprendere le donne. Io in questo senso ho visto delle situazioni apparentemente drammatiche sia nel campo degli insuccessi della maternità sia del parto risolti attraverso dei cambiamenti di relazione tra il curante e la paziente, fra l'ostetrica e il paziente. Quindi è importantissimo che ci sia una formazione basata proprio su quello che la natura ha messo nella biologia della gravidanza e del parto. Poi bisogna prendere i genitori e invece di attrezzarli soltanto per il parto, bisogna dare informazioni complete sulla genitorialità a partire dal concepimento, parlando del passaggio del parto come passaggio da una simbiosi totalmente passiva a una simbiosi che diventa attiva e di cui l'artefice è la figura materna. Bisogna spiegare come il bambino si separa in maniera lenta e graduale, spiegare il senso dei famosi primi 1000 giorni, spiegare quali sono gli atteggiamenti genitoriali che aiuteranno il bambino ad arrivare all'adolescenza, l’adolescenza che è il passaggio della vita in cui si supera la dipendenza dell'infanzia e si entra nel mondo in una modalità diversa. Io dico sempre ai genitori che dobbiamo ricordarci che la vita nell'utero è una vita straordinaria in cui sappiamo che c'è un senso profondo di benessere. Basta vedere questi bambini che dondolano nell'utero della mamma attraverso i metodi che abbiamo adesso ecografici e allora dobbiamo dirci questo: la natura ha messo prima della vita un tempo in cui si è profondamente felici e saturi del bene della presenza della mamma e questo è un sentimento di appagamento con cui veniamo al mondo, che è quello che rende il neonato dispotico perché non ha capito che è venuto al mondo e quindi pretende ancora di essere nell’utero. Ma il passaggio che è nelle mani dei genitori non è un precipitare, è essere accolto da chi ha dato questo piacere, questo benessere, questa armonia gratuitamente. Il genitore insegna come fare a ricrearla nel mondo. Per approfondire tutte queste cose ho scritto un libro in cui c’è una trascrizione straordinaria di quello che è il movimento del parto come segno di un messaggio che la natura manda nella fisiologia e per capire come accompagnare i bambini e farli crescere.

L'altra cosa che mi interessa moltissimo, per l'applicazione nella maternità, è di dire quello che non si legge da nessuna parte, soltanto Winnicot nella mia conoscenza ha accennato a questa trasformazione della donna in gravidanza valutandolo come un evento assolutamente fondamentale da comprendere. Siamo abituati a considerare soltanto il fenomeno fisico della gravidanza: la pancia che diventa grande perché la mamma non deve strangolare il bambino, deve lasciargli spazio, deve lasciarlo muovere tranquillamente, lo contiene dandogli spazio con il sacrificio del suo spazio, del suo benessere. Questo è un segno di generosità. Quindi c'è questa trasformazione fisica della donna, la perdita del baricentro. Se uno ha una posizione eretta ha un baricentro, se uno ha una pancia tende a cadere nell'orbita del bambino. Ma questo cadere nell’orbita del bambino non è soltanto un fatto fisico, è un fatto emotivo perché gli ormoni non lavorano soltanto sul corpo, non lavorano solo sull'endometrio per renderlo spesso in modo tale che l'uovo fecondato si possa annidare, ma lavorano sull'emotività della donna e, gli ormoni vanno ad accentuare l'emotività della donna che già è diversa da quella maschile. Durante la gravidanza questo aspetto emozionale della donna si espande in una maniera straordinaria. La donna perde il baricentro anche emotivamente e questo non è casuale, la donna subisce una specie di split, una divisione in cui una parte di sé resta adulta e matura, mentre una parte di sé torna piccola. Questo sentire in maniera così acuta la porta e la sposta sulla sensibilità del bambino il quale viene fuori dall'utero, non conosce il mondo, ha sentito soltanto il rumore del battito cardiaco, del respiro della mamma, era al buio, quindi qualsiasi cosa, banalmente un mazzo di chiavi che cade, lo fa spaventare. Quindi l'aumento della sensibilità della donna non è altro che un portarla ad essere piccola, per potere, con la sua parte piccola, indovinare i bisogni del bambino e sentire come proteggerlo da tutto ciò che può nuocergli, che può fargli paura, che può spaventarlo, che può commuoverlo. Quindi è una trasformazione straordinaria che serve per la sopravvivenza della specie e qui c'è un elemento che io trovo fondamentale per la clinica. Durante la gravidanza la donna è più fragile, è al massimo della sua potenza, è come il bambino piccolo che è al massimo della sua potenza, ma è dipendente e se non ci sono quelli che lo accolgono, non ce la fa a sopravvivere. Quindi anche la donna è in questa condizione e nel tornare piccola torna non all'infanzia in genere, torna alla sua storia infantile, per cui in gravidanza è facilissimo che tutto ciò che non è stato affrontato e risolto, compreso e che in qualche maniera ha agito negativamente nella storia di quella donna nel suo sviluppo, nella sua crescita, nella sua forse non maturità o insicurezza venga fuori. Stabilito che in realtà tutti i disturbi della gravidanza, e non solo la depressione, possono presentarsi in gravidanza, possiamo individuare precocemente le alterazioni dell'umore nella donna, che sembrano essere più marcate in questa regressione verso il loro mondo infantile. Di questi sentimenti molto acuti vanno informate le donne. Se si parla con le donne queste incominciano a non avere paura di parlare di questa parte di sé, raccontano se quello che sentono è qualche cosa di comprensibile in termini di una regressione ad un mondo infantile o se questo mondo infantile contiene qualche cosa che non è stato elaborato e che finalmente può essere elaborato, può esserci così un'individuazione precoce di una sofferenza nascosta. Non si deve avere paura che in gravidanza non si devono toccare le donne perché sono fragili, anzi siccome inevitabilmente queste cose vengono a galla è molto meglio prenderle e accompagnarle e fare in modo che la donna (durante il parto e nel puerperio) sia già attrezzata e preparata per sapere come affrontare questa nuova relazione. Ovvero grazie ad una fiducia di sé che per un attimo ha creduto di perdere. Quindi si può fare prevenzione. Ma, ripeto, si può fare prevenzione soltanto se la psicologia smette di essere soltanto ricerca della patologia e cura della patologia, ma si afferma come capace di spiegare quali sono i parametri affettivi, le modalità affettive che permettono nella fisiologia di crescere in una maniera adeguata e di essere opportunamente seguiti.

C'è poi un'altra cosa che vorrei aggiungere, a proposito della sofferenza della donna nella gravidanza. Naturalmente noi diamo la possibilità alle donne di esprimere le loro difficoltà emotive senza dargli l'impressione che le consideriamo diverse e che le stiamo in qualche maniera rincorrendo come patologia. Offriamo la possibilità di elaborare quello che le rende incerte, la loro capacità creativa materna, ma non tutte le donne riescono a esprimere questa loro difficoltà.

Io ho imparato, lavorando in maternità, che ci sono tutta una serie di disturbi della maternità in cui si riscontra una fatica nel portare avanti la gravidanza, nel partorire, nell'avere i figli, che sembrano e sono di solito soltanto oggetto di una ricerca puramente medica. Io ho imparato precocemente, perché stata subito affiancata a tutte le difficoltà della gravidanza che, non bisogna soltanto intervenire con un modo puramente medico, bisogna riuscire a mettere insieme una collaborazione fra la medicina e la psicologia e quindi offrire alle persone che hanno difficoltà, che sembrano soltanto somatiche, un’elaborazione del lutto perinatale che è avvenuto in un brutto stato, per poter capire se qualcosa di inconscio internamente ha ordito contro il successo di questo loro desiderio.

Mi riferisco all’iperemesi, a quei vomiti granitici gravissimi che portano ad una perdita del peso e che sembrano sfiancanti, mi riferisco a certi aborti ripetuti, mi riferisco peggio se volete alle MEF (morte endouterina fetale), quindi alla morte del bambino in utero quando ormai la gravidanza è già avanti. Mi riferisco all'endometriosi, quelle più cattive che sembrano mettere in dubbio la possibilità per la donna di poter diventare madre, mi riferisco ai parti prematuri, quelli gravissimi che hanno il rischio di perdita del bambino o quegli episodi di tipo gestosici che mettono a rischio la vita della madre e del bambino. Mi riferisco alla grandissima, scusate, piaga dell'infertilità che io negli anni ‘80 non avevo, quindi come sempre i sintomi psichiatrici e quelli emotivi sono molto legati all'andamento della cultura e a quello che succede. Oggi è una delle cose più frequenti, ma anche lì siamo sicuri che l'unico modo per superare queste infertilità sia quello di ricorrere alla fecondazione assistita? O solo a quello? Non ci viene in mente che in questa difficoltà di diventare madri o delle coppie di diventare genitori si possa annidare qualche cosa di più emotivo che riesce a rendere difficile questo desiderio, questo compito, che viene vissuto come difficilmente affrontabile proprio perché non è stata costruita la fiducia, la sicurezza della capacità creativa e la capacità di educare?

Bene, io sono sul campo da tantissimi anni e sono riuscita ad aiutare coppie e donne che si fermavano lì e non riuscivano a risolvere il problema attraverso un'assistenza emotiva verso il raggiungimento della loro felicità, non mettendomi contro. Se c'è una cura medica che può assistere ed aiutare va benissimo, però non possiamo fingere che non ci sia una partecipazione della nostra emotività in una tappa della vita che ricordo è quella più significativa dal mio punto di vista, per capire che esiste il tempo che si smette di essere figli e che si entra nella fase in cui si diventa genitori e quindi non si può più ricevere ma si deve avere la responsabilità del dare ed del dare bene.

Dott.ssa Giuliana Mieli