Il Rapporto dialettico tra femminile e maschile: concepimento, gravidanza e parto | Società Italiana di Psicologia Perinatale

Il Rapporto dialettico tra femminile e maschile: concepimento, gravidanza e parto

Il rapporto dialettico fra femminile e maschile è un elemento fondante della sopravvivenza umana: è il rapporto fra emozioni e ragione, fra corporeità/sensitività e lobi frontali, fra periferia e centro decisionale. Questo rapporto è fatto da sfumature diverse nei due sessi, da diverse modalità nella percezione dei bisogni e nella loro risoluzione. Questo dato biologico, fondato su una parziale ma significativa differenziazione ormonale, che sostiene emozioni e comportamenti diversi, “codici affettivi complementari”, è orientato alla conservazione della vita attraverso le mansioni complementari che induce a svolgere per la comprensione e protezione del piccolo umano. Aspetti e ormoni maschili sono presenti nella donna per permettere che la sua forte emozionalità trovi in sé stessa il suo contenimento, aspetti e ormoni femminili sono presenti nel maschio per ascoltare e accogliere i bisogni in funzione dei quali orientare la propria azione nel mondo.
Nella storia del pensiero filosofico occidentale sentimenti e ragione sono stati sempre teorizzati come antagonisti spesso irreconciliabili: e sempre si è auspicato e deciso che la razionalità, considerata caratteristica precipua dell'umano, dovesse trionfare su corporeità e sentimento.
La stessa psicologia si è fondata su questo assunto e ha a lungo considerato le emozioni umane come pericolosi impulsi da inibire e controllare.

L'osservazione della nascita e della crescita del piccolo umano ci parla di tutt'altro: ma comprendere e agire questa diversa verità comporta una vera e propria rivoluzione mentale. Senza un rapporto con sensazioni e emozioni infatti, la nostra mente sarebbe cieca.

Concepimento, gravidanza e parto: femminile e maschile
Allorchè in un felice rapporto adulto di coppia percorso dal desiderio di procreazione (questa la condizione ambientale ideale, quella più solida per la coppia e per il bambino) avviene l'incontro fra uovo e spermatozoo, l'uovo fecondato inizia il suo percorso di vita nel corpo materno. Prudentemente l'oriente ha sempre calcolato l'inizio della vita dal concepimento e non dal parto, interpretato esclusivamente come un passaggio: impossibile infatti capire lo svolgimento fisico ed emozionale dell'essere umano se non a partire dalla vita intrauterina.
L'uovo fecondato (che può essere filmato da una piccola telecamera intravaginale) scende lentamente per il canale tubarico, variopinto, senza peso, fino a scivolare all'interno dell'utero. Lì il suo destino è duplice: può infatti scivolare senza venire catturato dalle pareti endometriali rese villose e accoglienti dalla rapida modificazione ormonale che ha luogo nella donna appena gravida, oppure può annidarsi nella parete accogliente per dare inizio alla moltiplicazione cellulare. Questo ci dice che non basta l'incontro di femminile e maschile per dare inizio alla vita, ma che è necessario che questo incontro avvenga in un ambiente adatto: e, messa da parte la falsa separazione mente/corpo cui siamo avvezzi da anni di una cultura ereditata, ciò significa che non sono solo le condizioni fisiche a determinare il successo nell' impianto dell'uovo, ma anche le condizioni emozionali della donna e della coppia. (Di questo si dirà di più quando ci occuperemo delle difficoltà della gravidanza).

I primi segnali di gravidanza in una donna attenta al suo sentire e amica della propria corporeità sono immediati: confusi la prima volta con un malessere attribuibile a un'influenza o a un colpo di freddo, in occasioni successive conducono a un riconoscimento immediato del proprio stato senza bisogno di ulteriori test. La natura interviene con un sentire che porta a una voglia improvvisa di fermarsi, una stanchezza, una svogliatezza, uno straniamento, a volte una nausea che blocca le normali attività e richiama a un ripiegamento su di sé intenso e assorto: bisognerebbe ascoltarsi e concederselo, seguire il segnale che ci dice che qualcosa di straordinario sta avvenendo dentro di sè quando ancora non lo si sente e non lo si vede. Molto più logico sospendere o rallentare le attività lavorative nel primo trimestre di gravidanza, quello più difficile e a rischio: ci vuole un tempo infatti per comprendere ed entrare nelle trasformazioni della vita. La gravidanza porta così, sin dal suo inizio, in primo piano il senso del lento compiersi delle cose: la pazienza, la tolleranza al malessere, la capacità di attesa, qualità emozionali fondamentali per comprendere le necessità e i modi del bambino e costruirgli intorno l'ambiente fisico ma soprattutto emotivo adatto per accoglierlo.
Durante la gravidanza la donna non cambia soltanto nel suo aspetto fisico: si parla spesso a questo proposito di “regressione”, alludendo a uno stato emotivo di grande sensibilità che caratteriza la donna gravida, scioccamente considerato quasi un eccesso o un'intollerabile fragilità. Il termine “regressione” allude invece a qualcosa di straordinario, una capacità di identificazione sollecitata dalla trasformazione ormonale che permette un indovinare, un mettersi nei panni dell'altro che costituisce il carattere fondamentale del materno.
La sensibilità emotiva è una caratteristica basilare del femminile sorretta dalla sua dotazione ormonale: nell'ottica della sopravvivenza, i ruoli femminile e maschile sono integrati ma differenziati. Più forte fisicamente, attrezzato muscolarmente, centrato sul rapporto faticoso con la realtà esterna e sulla impegnativa soluzione di problemi pratici e immediati, il maschio: più attenta a sensazioni e emozioni, più capace di ascoltare e interpretare i bisogni propri e della prole, più portata a considerare con pazienza e nostalgia il tempo trascorso e a fantasticare il tempo futuro, la femmina. Nella gravidanza la sensibilità abituale della donna si dilata e sconfina verso la sensibilità immatura e intensa del bambino: quando uscirà dall'utero il piccolo si ritroverà in un mondo assolutamente ignoto, affascinante ma angosciante e spaventevole se non avvicinato e percorso gradualmente attraverso la simbiosi rassicurante con il corpo materno praticata durante tutta la gravidanza che continuerà dopo la nascita. La sensibilità materna acuita avvicina dunque indefinitamente la mamma al suo bambino: la rende quasi “come” il bambino perchè possa capirne e indovinarne i bisogni al primo “uè”.
Ecco allora che la regressione, che effettivamente rende la donna più fragile e più bisognosa di sostegno, appare come un vero e proprio ritorno alla propria vita infantile. E' come se, nel tornare emozionalmente bambina, la donna attingesse a un bagaglio interno di esperienza in cui l'ascolto e l'esempio che ha ricevuto diventano il modello cui ispirarsi nell'incontro con il proprio piccolo. E' questo il modo con cui la natura si assicura la simbiosi emotiva fra madre e bambino: ciò che rende possibile l'ispessimento dell'endometrio e l'annidamento fisico – estrogeni e progesterone – produce emotivamente il ritorno a una sensibilità e fase storica della propria vita che rende capaci di immedesimarsi e quindi gestire il bisogno di accoglimento e di cura di cui è portatore il piccolo che viene al mondo. Quello della riproduzione è un passaggio assolutamente cruciale della vita emozionale umana: in maniera più o meno consapevole , corre il pensiero della fine di un'epoca, quella in cui si è stati figli, per iniziare quella in cui si diventa genitori; finisce il tempo in cui si riceve, inizia quello in cui si dà, accompagnati dalla percezione più o meno profonda che la totale dipendenza del bambino è appesa alla nostra disponibilità e capacità: si diventa responsabili e padroni della vita e della felicità di un altro. C'è quindi una naturale e fisiologica ambivalenza che investe il progetto riproduttivo e riguarda sia la donna che l'uomo, anche se la femmina porta in sé – e quindi avverte in maniera molto più coinvolgente a causa della sua profonda trasformazione fisica ed emotiva - il frutto del suo progetto. E' un po' come dirsi: “Che bello! Che gioia...ma...ce la farò? Sarò capace?”. E' talmente fisiologico provare questo sentimento, segno di sana consapevolezza, che deve invece destare sospetto chi appare troppo appagato e sicuro di sé.
Questo aspetto della gravidanza richiede uno sguardo sulla donna in attesa capace di comprendere e gestire la sua emozionalità più ricca che non può essere colta da un asettico sguardo medico: la donna gravida non è infatti malata ma è sì attraversata da una intensa emozionalità che va gestita e capita, sia nella fisiologia come fondamento e spunto per una sana genitorialità che nella patologia, onde evitare pericolose e indebite psichiatrizzazioni.
Altrettanto importante per comprendere a pieno il bambino che nasce e, più ampiamente, la vita emozionale umana, è l'osservazione della vita in utero resa oggi ancora più esplicita dall'uso della sonda ecografica. Sappiamo che il feto ha uno sviluppo sensoriale molto precoce che lo rende capace di percepire la qualità dell'ambiente in cui viene a trovarsi; nell'osservarlo, così come nel sentirlo, nel suo muoversi, stendersi, succhiarsi, dormire mollemente cullato dal liquido amniotico, tutto congiura a farci convinti che l'esperienza intrauterina sia un vero e proprio paradiso terrestre in cui per nove mesi il piccolo bambino ha potuto godere di un ambiente ovattato, caldo, fluido e morbido, adatto alla sua sommessa e poi crescente sensibilità, muovendosi in assoluta libertà nella sicurezza di un contenimento sicuro e protettivo. Il materno dell'utero, che è il corrispondente fisico dell'emozionalità materna, è un ambiente che contiene amorevolmente, che satura sensorialmente impedendo l'irrompere del dolore, che non comprime – è l'utero che si distende e allunga man mano che il bambino cresce, è la mamma che cede spazio e comprime i propri organi interni come poi cederà spazi e tempi che comprimeranno inevitabilmente le proprie attività - : questo guscio amoroso, saldamente e protettivamente chiuso, è il primo sapore che ha la vita per il bambino e sarà questa sensazione di appagamento che il bambino ricercherà appena nato, non sapendo di essere nato, bisognoso di rituffarsi, per la sua sicurezza, nell'abbraccio simbiotico da cui è stato fino allora scortato.

La natura ci dà dunque una percezione intrauterina di appagamento e ce ne circonda per nove mesi: solo questo può spiegare la tensione verso la felicità con cui nasciamo e cui aspiriamo tutta la vita.
Dopo la nascita l'incontro con il limite del reale porterà lentamente il bambino fuori dalla sua fantasia onnipotente e l'armonia gratuita del pre-vita diventerà una méta asintotica da conquistare, cui tendere con fatica in quel lento divenire della realtà cui ognuno può partecipare con la propria vita e azione.

Assaporiamo precocemente la felicità perchè, conoscendone il sapore, la si possa ricreare nella fatica del quotidiano in una lenta storia dell'uomo che ci coinvolge tutti nella costruzione di un mondo migliore: forse è questo il compito più ambizioso legato all'emergere della corteccia.
Il periodo della gravidanza è il tempo di una fusione passiva: non c'è fatica attiva fra madre e bambino per mantenere il contatto. Non è solo il bambino a vivere nell'onnipotenza - legata al suo non sapere – e nel benessere; anche la mamma, malgrado i piccoli disturbi inevitabili in gravidanza, vive una stagione di appagamento onnipotente. Alle donne è data infatti la possibilità di riassaporare quell'essere due in uno, quella fusionalità di cui ognuno di noi porta traccia nella propria memoria corporea. Per la donna questo stato perduto può essere riattivato in gravidanza nel riconoscere dentro di sé dapprima la quasi impercettibile presenza del suo bambino, e poi il suo muoversi, il suo spingere, il suo farsi sempre più presente: vuol dire tornare a provare la sensazione di non essere mai soli, separati, come prima della difficile avventura dell'individuazione. Un vero compagno deve poter riconoscere e sostenere il ritorno alla fusionalità della sua donna che fa da anticamera a un buon rapporto con il bambino. La funzione paterna nel triangolo famigliare ha proprio un ruolo di sostegno, equilibrio e di finestra sul mondo. Se infatti la trasformazione fisica e emotiva della gravidanza sposta il baricentro della donna fino a farla quasi precipitare nell'orbita del bambino, è fondamentale allora che ella possa avere un appiglio, un riferimento partecipe e presente che la riequilibri e insieme la protegga nella nuova esperienza di vita. Il numero 3, così denso di significati nella tradizione di tante culture e religioni, mostra qui il suo valore di stabilità e fermezza, àncora di sicurezza nelle intemperie della vita.

Il parto. Femminile e maschile
Il parto è dunque un passaggio dalla simbiosi passiva della gravidanza alla simbiosi attiva del puerperio, ricercata fortemente dal neonato, essendo il legame con la madre l' unico riferimento conosciuto e rassicurante perchè il bambino possa entrare nel mondo della vita.
Da un punto di vista emozionale la dinamica del parto delinea una modalità naturale di separazione fra madre e figlio che si ripeterà poi costantemente nella vita.
Quando la gravidanza giunge a termine e la simbiosi passiva non è più adeguata, il bambino segnala con la sua ossitocina di voler uscire. L'ossitocina materna risponde al richiamo e inizia quel dapprima lento e poi sempre più incalzante susseguirsi di contrazioni e rilassamento che costituisce il parto. In un parto fisiologico la mamma arriva predisposta benevolmente alla separazione dopo l'ultimo ingombrante e faticoso finale di gravidanza: questo sarà vero per tutte le separazioni successive. Si compie una specie di saturazione dell'epoca vissuta e consumata che apre la strada a un cambiamento nel rapporto: ciò risponde all' evoluzione maturativa del figlio e la facilita.
Se il femminile è stato nella gravidanza un contenere protettivamente senza comprimere, qui esso si completa con una spinta propulsiva, ancora involontaria, che suggerisce la necessità di un allontanamento, utile per la sopravvivenza: un elemento maschile, centrifugo, corona la cura materna e la completa.
Tutto il lungo scorrere del travaglio avviene con l'adattamento della donna alle spinte involontarie via via più frequenti e regolari intervallate da pause di abbandono e di riposo: quanto più c'è consapevolezza di quello che accade, del perchè accade e perchè così, tanto più é possibile aderire e partecipare attivamente all'evento.
La natura ha previsto un passaggio e un distacco lento e graduale, il cambiamento di stato deve avvenire il più impercettibilmente possibile, mamma e bambino devono scivolare in un altro modo di comunicare senza sbalzi improvvisi. Di più, la modalità suggerita dalla natura è che sia la madre a incoraggiare il suo piccolo sospingendolo lentamente per il sedere e lasciandolo ritornare indietro per poi incalzarlo di nuovo: in un “ti lascio” “non ti lascio” ripetuto che intanto guadagna spazio e sposta verso l'uscita. La sofferenza materna non è solo fisica, legata inevitabilmente all'irrigidimento dell'utero nella spinta: è anche una sofferenza emotiva che ha a che fare con la fine dell'onnipotenza, del possesso reciproco totale, con il dolore del separarsi, con la consapevolezza che quel due in uno sta finendo, che poi sarà bello ma non più uguale, certamente più faticoso, che la vita del bambino incalzato dall'amore materno si compirà oltre la durata della vita materna stessa in un futuro ignoto e incontrollabile. Sono emozioni della nascita su cui si riflette pochissimo come se non appartenessero alla vita, come se tutto dovesse essere felice e gioioso e non velato anche di un tocco di malinconia: e la malinconia, la paura della perdita, come ogni altra emozione, soltanto se espressa e riconosciuta si supera nello slancio della vita che va avanti e si rinnova.
Ogni nascita è un discorso a sé come ogni rapporto fra mamma e bambino. Certo ogni piccolo che nasce ha già un suo carattere riconoscibile per come si comporta in utero; ma è di gran lunga più importante la relazione perchè, ricorda Winnicott, il neonato da solo non esiste: il legame con la nutrice non è un “in più” ma ciò che determina la sua possibilità di sopravvivenza in termini fisici e emozionali. Il parto, così come la gravidanza, è parte della storia di quella relazione e avviene in maniera diversa a seconda del bambino e della disponibilità materna che risente della vita e dell'ambiente che la circonda.

I tempi del parto fisiologico sono un richiamo alla pazienza materna e alla sua disponibilità a prendere il passo del bambino. La lentezza del parto appare una chiara lezione su come deve essere lento il processo di distacco sia al parto che poi nella vita, con un procedere per esplorazioni e ritorni, un movimento di “fuori” e “dentro” che permane nei lunghi anni che portano alla conquista graduale dell'autonomia.
Soltanto alla fine del travaglio, quando il collo dell'utero si è completamente appianato e dilatato, la puerpera può e deve partecipare attivamente alla spinta: per quanto possa apparire paradossale, il primo atto volontario che una mamma può compiere sul proprio bimbo è un atto di allontanamento. Il femminile, caldo e accogliente contenitore, deve inesorabilmente incoraggiare la separazione: si spalanca lentamente per permettere un passaggio, incalza a uscire, fidandosi della maggiore maturità del bambino e fiducioso dell'incrocio fra la protezione femminile e maschile che si incontrano per la prima volta per cimentarsi con la vita.

La presenza paterna in sala parto è simbolicamente molto significativa: se la mamma al parto è quella che spinge e incalza, il padre è colui che accoglie e protegge. Non va trascurato il profondo significato emotivo di questo passaggio simbolico che congiunge la donna e l'uomo e li caratterizza come complementari in una cura condivisa della propria prole. I ruoli al parto sono rovesciati: il maschile della donna si salda con il femminile dell'uomo e determina quell'ambiente di sicurezza affettiva in cui il bambino si muoverà nella sua crescita.
Nel momento espulsivo, quando il piacere e il tripudio assorbe e conclude il parto trascinando nell'estasi la donna partecipe, il bambino ha un attimo di esitazione, quasi di smarrimento quando il suo intero corpo scivola fuori dal caldo e umido contenitore che lo ha protetto per nove mesi; ma è un attimo e non c'è pianto se braccia accoglienti lo ricompongono in un abbraccio amoroso. Simbolicamente quelle sono le braccia del papà, sarebbe bello se talvolta fosse così anche in sala parto.